Questo sito non promuove la vendita di alcolici e non incoraggia a bere vino o altre bevande alcoliche, ma tratta esclusivamente il collezionismo dei tappi usati delle bottiglie.

Un brindisi memorabile

Il più delle volte non le si presta attenzione e la si getta con tappo e gabbietta. Ma quello che appare un semplice elemento decorativo è in realtà un oggetto fondamentale con una lunga storia alle spalle.

Stiamo parlando di capsule, plaques de muselets, plaques de cava, ovvero di quei lamierini posti sulla calotta dei tappi di sughero e fermati ai collarini delle bottiglie di spumanti, champagne o cava con gabbiette in filo d’acciaio.

Un brindisi memorabile
La loro storia inizia molti anni fa, quando, messo a punto il metodo per rendere spumeggiante il vino grazie a una seconda fermentazione provocata nella bottiglia, si pose il problema di come tappare efficacemente le bottiglie. Era l’epoca di Dom Perignon, e allora si utilizzavano cavicchi di legno coperti di stoffa imbevuta d’olio e sigillati con la cera, ma ben presto ci si rese conto che questo sistema di tappatura non era sufficiente per trattenere la pressione del vino e così si passò a utilizzare i tappi in sughero, imbrigliati rigidamente con cordicelle di canapa. Questa operazione manuale venne facilitata dall’uso del calbotin, calice o secchio per la legatura nel quale venivano fissate le bottiglie, e ancor più con l’invenzione di un certo Nicaise Petitjean di Avize, che fece brevettare una macchina per la legatura con la cordicella, chiamata “cavallo di legno.”
Il fissaggio del tappo migliorò, ma rimase tuttavia ancora precario. Alcuni negozianti iniziarono allora a rinforzare la legatura con uno o due fili di ferro attorcigliati, sistema efficace ma che presentava difficoltà al momento di stappare la bottiglia e così, per facilitare l’operazione ecco l’idea di creare un piccolo anello sul filo, anello talvolta munito di un sigillo di piombo sul quale veniva incisa la parola champagne o il nome del produttore o del negoziante. Via via il filo di ferro iniziò ad assumere una sagoma più precisa, ed ecco nascere le prime gabbiette, molto semplici, che venivano posate direttamente sul tappo o, talvolta, “aiutate” da una rondella zincata inserita tra sughero e gabbietta per migliorarne la tenuta.

Soluzioni semplici

L’idea, semplice ma geniale, fu di Adolphe Jacquesson, produttore di champagne di Chalon-sur-Marne, che comprese come l’utilizzo di una capsula di lamierino fustellata e preformata potesse essere la soluzione definitiva. Questo piccolo oggetto permetteva infatti di fissare saldamente il tappo, assicurare un’ottima tenuta, e fargli assumere la tipica forma rotondeggiante e regolare. E fu così che la gabbietta si modificò nuovamente e il piccolo spazio centrale divenne più grande per contenere la capsula che veniva stampata con quattro scanalature sul perimetro per alloggiare saldamente i montanti: era la forma che tutt’ora conosciamo e che, dalla metà dell’Ottocento, non è più sostanzialmente cambiata.

Le prime capsule erano semplici, di lamierino zincato e del tutto anonime, ma via via si iniziò a comprendere che da semplice strumento funzionale esse potevano divenire qualcosa in più, un mezzo per personalizzare, distinguere, caratterizzare, promuovere una azienda o un determinato prodotto. Iniziò a comparire la scritta champagne punzonata a lettere in rilievo, poi il nome del produttore e del luogo sede dell’attività, e, a partire dal 1920, iniziarono a divenire colorate.

Ma nel frattempo la stampa su metalli andava perfezionandosi e diffondendosi, e a partire dagli anni Quaranta ecco comparire le prime capsule litografate o serigrafate a quattro colori, il cui primo esemplare risale al 1906, una capsula litografata della maison Pol Roger, unica azienda dell’epoca a utilizzare capsule stampate. Da lì in poi, grazie a tecniche sempre più elaborate, alla creatività e alla fantasia, il mondo della capsula è divenuto variegato, colorato e fantasioso, vivace e frizzante come il contenuto che contribuisce a proteggere, un’immensa varietà che ha saputo conquistare dagli anni Ottanta un vastissimo stuolo di ammiratori.

Capsulomania

Dapprima in Francia, poi in Spagna, in seguito in Italia e in quei paesi europei ove è radicata la tradizione vitivinicola, la capsulomania ha contagiato via via appassionati in tutto il mondo, estendendosi in anni recenti anche fuori dall’Europa. Per dare un’idea di quanto sia oggi estesa questa passione si pensi che la Francia, nazione che ha visto nascere le prime associazioni di collezionisti e che per prima ha iniziato a pubblicare cataloghi ufficiali, conta oggi cinquantamila innamorati di questi coloratissimi dischetti metallici, che possono incontrarsi ogni anno a Vertus, a pochi chilometri da Reims, l’11 novembre, quando si svolge la più importante manifestazione al mondo di borsa-scambio capsule.

Un brindisi memorabile

In Spagna gli appassionati sono quarantamila, per lo più concentrati nella zona della Catalogna, e in particolare in quella porzione di territorio a eccellente tradizione spumantistica ove nascono i cava, spumanti realizzati con metodo classico.
I produttori di cava stimolano l’interesse dei collezionisti variando spesso la policromia, rinnovando la grafica, utilizzando talvolta metalli nobili, e promuovono ogni fine settimana le cosiddette trobadas, incontri ai quali partecipano centinaia di appassionati. Le trobadas sono occasioni di incontro, scambio e divertimento, nonché occasioni per degustare cava e specialità gastro­nomiche, o per partecipare a simpatiche lotterie che hanno per premi lotti di capsule rare o vecchie bottiglie millesimate.
Una realtà, quella spagnola, nella quale ormai sta divenendo consuetudine creare capsule commemorative per gli eventi più diversi, dagli avvenimenti sportivi di rilievo alle ricorrenze familiari importanti alle inaugurazioni di attività commerciali o culturali.

Di dimensioni minori ma in continua crescita il mondo del collezionismo italiano, che conta all’incirca cinquemila appassionati. Ma non vi è da stupirsi: a fronte di una diffusissima cultura francese e spagnola che induce i produttori a variarle molto spesso, della possibilità nella zona dello champagne di acquistarne in moltissimi negozi tanto è diffuso l’interesse, di una cura per questi piccoli oggetti che porta i piccoli produttori francesi obbligati a utilizzare capsule anonime a sceglierle comunque originalmente decorate, la proposta italiana è decisamente più ridotta, e una capsula anonima da noi è ancora soltanto dorata o argentata.

Il Club Collezionisti Capsule

Ma anche in Italia il suo fascino sta conquistando sempre più adepti, come ci racconta Elia Rustignoli, presidente del Club Collezionisti Capsule e perfetto esempio di come una passione nata per caso possa trasformarsi in un piacevole impegno. Dalla fine degli anni Sessanta, così, per puro piacere, Elia Rustignoli amava conservare in una scatola di lamiera marchiata, e forse non è un caso, Veuve Clicquot, capsule di spumante e champagne, molte tra l’altro identiche tra loro.
Ne aveva all’incirca millecinquecento quando per puro caso una mattina del 1997 si imbatte in una locandina esposta in un bar romano, che pubblicizzava la prima mostra nazionale di capsule, etichette e filatelia. Incuriosito vi si reca e scopre un mondo a lui sino ad allora poco conosciuto… e di lì a breve dodici capsulomani, divenuti naturalmente amici, decidono di dar vita al Club Collezionisti Capsule che nel 1998 dà alla luce il Primo catalogo delle capsule italiane di spumanti, simile a quelli già esistenti in Francia e Spagna.

Un brindisi memorabile
È proprio questo strumento fondamentale per la catalogazione e la valutazione di questi piccoli oggetti che permette al nostro collezionista di osservare con occhio diverso ciò che possedeva, e di intraprendere in modo differente il suo viaggio nel mondo delle capsule. Si iscrive a club stranieri, inizia a scambiare dieci, quindici capsule per volta, in breve passa a cento, centocinquanta, e dalla sua prima visita alla mostra di Vertus torna a casa con un bottino di novecento capsule.
A tutt’oggi la sua collezione vanta all’incirca ventitremila pezzi provenienti da tutto il mondo, raggruppati per nazioni e per regioni. Una raccolta immensa, colorata, divertente, sempre aperta a nuovi arrivi perché il nostro collezionista non cerca quella particolare, l’ultima novità o uno specifico pezzo mancante, ma, come ama simpaticamente sottolineare, “le cerca e le accoglie tutte”, senza distinzioni, sempre con grande soddisfazione. È un susseguirsi di loghi, disegni e colori, semplicità o frutto di elaborati studi grafici, serissimi marchi di aziende o immagini dedicate agli eventi più disparati.

Piccoli dischetti colorati dal valore anche molto diverso tra loro, perché, ci spiega, una particolare capsula Berlucchi s.r.l. ha un valore ben diverso dalla similissima Berlucchi s.p.a, o una capsula di un piccolo produttore di lambrusco è infinitamente più rara di un pezzo Dom Perignon, o Moët & Chandon che vanta duecentocinquanta capsule nella sua storia, per fare soltanto qualche esempio. E i prezzi naturalmente variano, da 50 centesimi a diverse centinaia di euro.

Internet si è naturalmente rivelato un valido aiuto, ma in Italia gli amanti di questi oggetti litografati possono vivere grazie all’intensa attività del Club molti momenti di incontro, occasioni conviviali nelle quali scambiare, acquistare, vendere e, talvolta, simpaticamente litigare per la conquista di un pezzo mancante. Il Club si propone di informare e aggiornare e vive dello spirito comunicativo di questo tipo di collezionismo, del piacere dello stare insieme: organizza mostre, feste, partecipazioni a eventi legati al mondo vinicolo ed enogastronomico, e dal decimo anno festeggia il compleanno presso le più importanti e spumeggianti aziende italiane, che iniziano a dedicare sempre maggiore attenzione a questo piccolo dischetto colorato che vanta nel mondo più di centocinquantamila appassionati.

articolo di Beatrice Conti, Il Curioso

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