Il tappo in gabbia: l’evoluzione della gabbietta
Il 15 novembre 2004 è stato festeggiato il 160° anniversario di un’invenzione, semplice ma geniale, la capsula, che si è diffusa in tutto il mondo e che è rimasta praticamente immutata dalla sua prima apparizione.
L’invenzione risolse l’inconveniente dovuto allo spago che tratteneva i turaccioli: la pressione interna faceva sì che il tappo fuoriuscisse un po’, giacché lo spago tagliava il sughero e penetrava nel tappo; ciò creava perdite di vino e gas.
Quando all’epoca di Dom Perignon si scoprì il modo per far prendere spuma al vino di Champagne, le bottiglie venivano tappate con dei cavicchi di legno coperti di stoppa imbevuta di olio e poi sigillati con la cera. Ben presto, ci si rese conto che tale sistema di tappatura non era sufficiente per trattenere la pressione del gas del vino ed impedire che le bottiglie scoppiassero. Si ebbe allora l’idea di utilizzare dei tappi di sughero ma si dovette ben presto imbrigliare rigidamente i tappi perché non saltassero sotto la pressione del gas naturale dello Champagne: si ricorse così ad una cordicella di canapa.
Essa era fissata manualmente tenendo la bottiglia ben ferma tra le gambe, cosa assai poco pratica. Ben presto si utilizzò un “calbotin”, chiamato anche calice o secchio per la legatura, nel quale si fissavano le bottiglie per meglio tenerle ferme durante l’operazione di legatura.
Per fare più forza ed evitare di rovinarsi le mani, l’addetto si serviva di un trefolo per tirare la cordicella e stringere i nodi, quindi tagliava le estremità con il coltello da legatore chiamato lancia.
Il lavoro del legatore era assai pesante e richiedeva un grande sforzo tisico. Verso il 1855, un certo Nicaise Petitjean, che viveva ad Avize, inventò e fece brevettare una macchina per la legatura con la cordicella chiamata anche cavallo di legno. Questo apparecchio doveva agevolare considerevolmente il lavoro del legatore e migliorare il fissaggio del tappo.
Un addetto poteva finalmente legare fino a mille bottiglie al giorno in dieci ore di lavoro.
Per garantire la perfetta tenuta del tappo, il legatore effettuava successivamente due nodi che consentivano di incrociare due volte la cordicella. Tale fissaggio, con una o due cordicelle incrociate, era comunque precario. Per maggiore sicurezza, alcuni negozianti completavano la legatura con uno o due fili di ferro attorcigliati. Il fissaggio del filo di ferro si faceva con l’aiuto di una pinza cesoia.
Tuttavia, questo fissaggio metallico presentava delle difficoltà e, al momento di stappare le bottiglie, era necessario usare una pinza speciale o un piccolo gancio per tagliare il filo di ferro.
Questi strumenti erano spesso offerti in regalo dai negozianti ai loro clienti. Per agevolare la stappatura delle bottiglie senza aver bisogno della pinza o del gancio, e soprattutto senza ferirsi, si ebbe allora l’idea di fare un piccolo anello sul filo per la legatura che talvolta presentava un piombino sul quale era incisa la parola Champagne oppure il nome del negoziante.
Era già un passo avanti ma la vera rivoluzione giunse allorché si pensò di preformare il filo di ferro: nacque la gabbietta.
Adolphe Jacqueson, un produttore di Champagne di Chalon-sur-Marne, 1844, è può essere considerato l’inventore delle capsule e delle gabbiette.
Tale invenzione risolse un grave problema. Lo spago che tratteneva i tappi tagliava il sughero facendo fuoriuscire leggermente il tappo con la conseguente filtrazione del vino e dell’anidride carbonica e la successiva ossidazione del vino. Scomparivano così quasi totalmente le sue caratteristiche e la stia spuma. Altri problemi derivavano dall’ammuffimento dello spago, per l’umidità delle cantine, che si rompeva facendo fuoriuscire il tappo.
Uno dei primi modelli era chiamato “la Rapida” e, nonostante si utilizzasse già una macchina alcuni interventi erano ancora affidati ad attrezzature manuali. Solo più tardi il sistema fu definitivamente perfezionato.
Le prime gabbiette furono fabbricate intorno al 1881 o pochi anni prima, come lo testimonia un vecchio catalogo H. Hemart et Lenoir, costruttori a Epernay.
All’inizio del secolo venivano fabbricate delle gabbiette molto semplici a tre o quattro braccia con un piccolo foro al centro. Tali gabbiette venivano fissate direttamente sul tappo. Ecco allora l’invenzione della capsula (o placca o cappellotto metallico) prodotta dapprima in stagno e poi in ferro bianco, personalizzata con il nome del produttore, preformata e concava.
Le capsule più antiche presentano, nei punti di intersezione con il filo di ferro della gabbietta, incisioni molto marcate. Queste capsule sono dette “ritagliate” o “découpées”. Con il passar del tempo, queste incisioni si fanno più piccole, anche se molto più grandi di quelle attuali, e sono dette capsule “intagliate”. Le capsule attuali, concepite per essere utilizzate a livello industriale, hanno un’incisione perfetta per potersi incastrare nella gabbietta.
Una nota interessante riguarda la storia delle capsule del Cava. Durante la guerra civile ed anche durante i primi anni del dopoguerra, alcuni produttori, nell’impossibilità di reperire la latta, furono costretti a fabbricare capsule di cartone: ancora oggi la casa Colomer Bernat conserva alcune bottiglie dell’epoca con questo tipo di capsule. Inoltre, nel dopoguerra vennero prodotte capsule riciclando la lamiera utilizzata per i barattoli delle conserve. Infatti in alcune capsule di quel periodo si possono notare diciture che non corrispondono alla bottiglia che sigillano, bensì ai barattoli di conserva di cui erano parte.
Un’altra particolarità riguarda il segno di riconoscimento che l’incisore aveva l’abitudine di mettere sulle capsule. In genere si può dire che i segni di base fossero sei: il punto, la stella a cinque punte, la stella a quattro punte, aste croci e rombi.
Per quanto riguarda l’Italia, la prima capsula fu predisposta da Filippo Valsecchi che nel 1923 fondo la ditta che portava il suo nome.
Le prime capsule prodotte dalla ditta Valsecchi venivano tranciate a mano e poi piegate, sempre a mano. Per calcolarne il costo, venivano pesati 100 pezzi di ferro ed alla fine della giornata, in base al peso si calcolavano quantità e costi.
La ditta Valsecchi ha prodotto direttamente le capsule e gabbiette fino al 1950, dopodiché Filippo Valsecchi si rivolse, per la produzione, ad un gruppo di artigiani di Cupramontana (AN) che fabbricava manualmente tali capsule, mentre lui provvedeva alla distribuzione.
Intorno ai primi anni ’70 ditta Valsecchi cessò ogni attività.
Naturalmente, insieme alla capsula, anche la gabbietta si è evoluta fino a quando, Bruno Getto dl Ivrea inventa una macchina che sforna dieci gabbiette fermatappi al minuto. Oggi la ICAS, leader mondiale di produzione di gabbiette e capsule, con macchine coperte da copyright e brevettate, produce cinque milioni di gabbiette al giorno, cioè due al secondo.
Fino al 1959 la ICAS produceva capsule anonime, poi, dal 1960 vennero prodotte le prime capsule in rilievo. Nel 1962 vedono la luce le prime capsule litografate: una vera rivoluzione!
La capsula litografata più antica è del Vintage 1906 di Pol Roger, mentre in Spagna la prima capsula litografata è molto più recente ed è stata prodotta nel 1972 per il primo centenario della casa Cordorniu.
Questa in sintesi l’evoluzione della gabbietta fino alla sua forma attuale.