Gli Spumanti in Italia
Vitigni adatti alla spumantizzazione
Non tutte le uve idonee alla produzione di vino sono adatte a produrre spumanti. Si potrebbe anche dire che non tutti i vini sono spumantizzabili. Quali sono quindi le uve più adatte alla produzione di spumanti? In realtà la risposta non è così semplice, perchè il vitigno di partenza è solo uno degli aspetti da tenere in considerazione. Molto dipende anche dalla latitudine della zona, dal terroir, dal periodo e dalle tecniche vendemmiali e, non da ultimo, dalla vinificazione dei mosti per produrre vini base con caratteristiche idonee.
Modifiche organolettiche dei vini dovute all’anidride carbonica
La caratteristiche che contraddistingue gli spumanti è la presenza dell’anidride carbonica in forma disciolta che, una volta aperta la bottiglia, a causa della differenza di pressione parziale del gas in soluzione rispetto all’ambiente esterno, passa allo stato gassoso dando vita alle bollicine. L’anidride carbonica disciolta modifica il pH del vino, aumentandone l’acidità. L’acidità a livello gustativo è una sensazione cosiddetta “dura“, che tende a rinforzare le analoghe sensazioni papillari quali sapidità e amarezza, e tattili come l’astringenza dovuta ai tannini. Questo spiega come gli spumanti rossi siano un’esigua minoranza rispetto alla tipologie bianche (o vinificate in bianco) e generalmente limitate a tipologie di vino a basso contenuto in tannini. Sensazioni tattili come la struttura del vino e la morbidezza indotta dal residuo zuccherino (negli spumanti dolci) tendono a compensarsi con l’acidità, creando un equilibrio organolettico ideale.
Caratteristiche degli spumanti in funzione dell’ elaborazione
La spumantizzazione secondo il metodo classico comporta una (generalmente) molto lunga permanenza del vino sui lieviti di seconda fermentazione. A livello organolettico questo comporta una netta caratterizzazione, soprattutto olfattiva, con decisi profumi che vanno dalla crosta di pane, al croissant, a note vanigliate. I vitigni aromatici, i cui vini solitamente si contraddistinguono per l’intenso profumo varietale, solitamente con note muschiate o vegetali (vedi ad esempio i Moscati), difficilmente si prestano alla vinificazione col metodo classico, perchè la combinazione olfattiva che ne deriverebbe non avrebbe la necessaria armonia. Per questi quindi solitamente si predilige la spumantizzazione col metodo Charmat, con periodi di contatto con i lieviti relativamente brevi e non tali da caratterizzarne il profilo olfattivo. Anche i vini base leggeri danno risultati migliori se spumantizzati in autoclave, permettendo di ottenere spumanti più beverini per i quali la freschezza è più ricercata della persistenza. Vini base strutturati, anche vinificati in legno e sottoposti a fermentazione malolattica, nei quali l’acidità fa da contraltare ad una morbidezza e cremosità di fondo, sono i più adatti alla spumantizzazione col metodo classico. Tra i più importanti vi sono i classici vitigni internazionali quali Chardonnay, Pinot bianco, Pinot nero (vinificato in banco o rosato).
Gli spumanti e le denominazioni di origine
Moltissime denominazioni di origine DOP e IGP prevedono delle tipologie spumantizzate all’interno dei loro disciplinari. Le denominazioni DOP, in tutto 430, comprendono 4044 tipologie di vino distinte. Di queste, 516 sono spumanti e di questi, 123 devono essere elaborati tramite metodo classico, il che significa che per le altre 393 non è stabilito dal disciplinare uno specifico metodo di elaborazione.
Gli spumanti e i vitigni autoctoni
Quando si parla di spumanti da vitigni autoctoni italiani si fa quasi esclusivamente riferimento agli spumanti metodo classico, cosa abbastanza naturale, visto che coinvolge un’attività di ricerca di eccellenze locali spesso trascurate. Gli spumanti hanno larga diffusione in tutta Italia e questo si riflette anche nei disciplinari delle denominazioni regionali. Solo in Calabria nessun disciplinare prevede vini prodotti in versioni spumantizzate, ma anche qui è comunque presente una produzione locale di bollicine.
Per alcuni vitigni e zone produttive come il Prié Blanc in Valle d’Aosta, il Verdicchio nelle Marche e l’Asprinio in Campania la spumantizzazione non è una novità, ma fa parte della tradizione vinicola locale. Poi esiste il fattore moda, che ha visto recentemente la produzione di Franciacorta DOCG raggiungere quasi i 10 milioni di bottiglie e non da ultimo l’attrattiva per i produttori di vini con una marginalità decisamente più elevata (per il metodo classico) rispetto a quella dei vini fermi. Le altre denominazioni importanti per le bollicine a metodo classico, ossia la Trento DOC, l’Alta Langa DOCG e l’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG, fanno tutte rifermento ai vitigni internazionali. La quota di mercato degli spumanti metodo classico da vitigni autoctoni, nonostante la moda di vinificare qualsiasi vitigno autoctono in ogni versione possibile, rimane comunque minimale.
In un ideale percorso da Nord a Sud, in Valle d’Aosta nella zona di Morgex et de la Salle il Prié Blanc viene usato per produrre spumanti metodo classico in purezza. In Piemonte si spumantizza il Cortese, Bianchetta genovese, Vermentino e Pigato rientrano nella composizione di spumanti metodo classico prodotti in Liguria. In Veneto accanto al famoso Durello ci sono degli esempi di spumantizzazione con metodo classico della Glera (Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG) e in Friuli della Ribolla Gialla. Nel Lazio, da alcuni anni si stanno conducendo sperimentazioni con il vitigno autoctono Roscetto, mentre famosi sono esempi di spumante metodo classico ottenuto nelle Marche da uve Verdicchio. Più a sud, in Abruzzo, il Pecorino ha mostrato una certa attitudine alla spumantizzazione, anche in versione metodo classico. L’Asprinio di Aversa (Campania) è ormai arcinoto, anche in alcune versioni rifermentate in bottiglia. Dalla Calabria abbiamo alcuni esempi di spumanti rifermentati in bottiglia prodotti a partire da uve dell’autoctono Montonico. In Sicilia vi sono esempi di produzione spumantistica a metodo classico con uve Carricante.